PMI: producono eccellenze che non sanno comunicare.

Stefano Mainardis

 

Stefano Mainardis  

Senior Art Director di Aipem

Produrre eccellenze ma non comunicarle.

In trent’anni di esperienza in una agenzia di comunicazione sono arrivato ad una conclusione ancora non smentita: in un mondo dominato dall’immagine le PMI producono eccellenze che non sanno comunicare.

Perché affermo questo? Innanzi tutto mi presento: sono un Art director (in italiano il direttore artistico ma il concetto di “artistico” nella nostra lingua purtroppo ha variabili di significato non sempre positive). 

Il mio mestiere è analizzare a fondo i valori dell’azienda, la sua mission, la sua vision, i suoi obiettivi e il pubblico target ai quali si vuole rivolgere. Una volta fatto questo, progetto e realizzo i codici di comunicazione che renderanno riconoscibile l’azienda, il suo marchio, i suoi prodotti attraverso il packaging e tutti gli strumenti di comunicazione off e online.

PMI: prodotti di valore e comunicazione non strategica.  

Ecco perché allora mi permetto di dire che quello che vedo in questo momento è che le realtà imprenditoriali più numerose, le nostre PMI che il mondo ci invidia perché sono in grado di realizzare prodotti di altissimo livello, nella maggior parte dei casi non si impegnano a comunicare in modo adeguato ciò che creano.

Sono errori che mi permetto di definire madornali: la brand identity, o identità di marca, è il modo nel quale l’azienda si presenta al mercato, lanciando un messaggio preciso al proprio pubblico target (o almeno dovrebbe).

Una brand identity definita in modo approssimativo o non costruita su misura dei valori e della mission aziendale non riesce a innescare nell’acquirente quel processo mentale positivo che lo spinge a scegliere certi prodotti piuttosto che quelli della concorrenza.

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La comunicazione evolve con l’azienda.

Approfondiamo: perché è importante avere una brand identity progettata strategicamente? 

Perché essa rappresenta quell’insieme di elementi visibili (nome, logo, payoff, packaging, brochures, sito web, canali social, ecc.) che rendono unico un marchio, e i prodotti da esso contraddistinti, nella mente degli acquirenti e dei partner. 

La brand identity rende riconoscibile e unica l’azienda e i suoi prodotti seguendone l’evoluzione. Cosa significa? Che se ogni prodotto evolve nel tempo per adeguarsi alle nuove tecnologie o alle richieste del mercato, la brand identity e la comunicazione in generale evolvono con esso.

Su questo punto occorre essere molto chiari: una strategia di comunicazione, un’immagine, per quanto bella ed espressiva, non è per sempre. Anche se l’azienda non cambia perché nel corso del tempo realizza sempre gli stessi prodotti, ciò che cambia sono il mercato, la cultura e la mentalità delle persone. 

Se guardiamo ai grandi marchi avremo la conferma di ciò: dai produttori di automobili a quelli di scarpe o di bevande tutti hanno adeguato, modificato, fatto evolvere la loro brand identity nel corso degli anni, proprio per seguire o, a volte, anticipare, il “gusto” dei tempi.

Web e social, in costante evoluzione, trainano l’innovazione dell’immagine.  

Non dimentichiamo poi che oggi la brand identity si applica in modo particolare in una ambito in costante e velocissima evoluzione, il web e i social, dove la regola dell’essere aggiornati e performanti nell’immagine è indispensabile.

Con una metafora possiamo dire che il sito web è una sorta di “casa di vetro” per l’azienda: con la sua facilità di acceso e multidimensionalità, rende trasparente ogni cosa. Ed è per questo che la necessità di averne uno tecnologicamente e visivamente aggiornato è un “dicktat” per le aziende.

 

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Il video domina la comunicazione per immagini.  

A questo proposito pensiamo a quanto tristezza danno certi profili social abbandonati, con post datati che magari propongono gli auguri per l’anno nuovo ma li si legge a luglio dell’anno successivo dimostrando che non c’è stata attività. 

Per le regole della comunicazione attuale questo è un vero e proprio disastro perché immediatamente il navigatore pensa “se lasciano i loro profili così abbandonati figurati come si prenderanno cura di me”.

Nel mondo contemporaneo domina l’immagine e ancora di più l’immagine video: la parte testuale si è ridotta tantissimo a favore di una comunicazione visiva, arricchita con grafiche dinamiche e suoni.

Tutto questo non è solo una moda: è un nuovo modo di avvicinare e conquistare nuovi clienti. 

La lead generation, ovvero l’ampliamento delle proprie relazioni di business, oggi passa potentemente attraverso questo canale.

Il complesso della brand identity e dell’architettura dell’immagine di un’azienda è uno dei più importanti strumenti di inbound che le imprese oggi abbiano a disposizione.

Quindi, progettare in modo coerente e adeguato la brand identity e l’intero ecosistema dell’immagine dell’azienda è il primo passo per farsi riconoscere, dare un ricordo positivo della qualità dei propri prodotti e predisporre l’acquirente a reiterare l’acquisto.

Da microimpresa a multinazionale grazie al brand.

Utilizziamo un esempio per capire di cosa stiamo parlando.

Negli anni Cinquanta c’era un chiosco accanto alla statale i cui titolari si erano inventati un processo di gestione automatizzato per la produzione e vendita dei panini. I due titolari avevano capito che alla gente piaceva essere servita nel minor tempo possibile.

Così si lanciarono nel mercato della ristorazione: ma nessuno avrebbe conosciuto la storia di Dick e Mac se il brand e l’immagine della loro azienda non fossero stati riformulati strategicamente da Ray Kroc, che ne comprese l’enorme potenziale.

Roy trasformò il marchio McDonald’s, di questo parliamo, in un brand forte e riconoscibile capace di esprimere uno storytelling avvincente, positivo. 

Così, in meno di 70 anni, una microimpresa è diventata una multinazionale da 25 miliardi di dollari e quasi mezzo milione di dipendenti. 

Questa è un esempio che potrebbe diventare la storia di tantissime delle nostre PMI che producono prodotti eccellenti, realizzandoli con processi altamente performanti, ma che, ad oggi, non si curano della loro immagine.

Una cultura basata su modelli iconici.

La potenza del marchio, una brand identity riconoscibile, inconfondibile, innesca nel consumatore un processo mentale e lo spinge all’acquisto di un prodotto collegandolo a una sensazione positiva che gli rimane impressa nel tempo.

Perché Ray riuscì in questa strepitosa impresa? Aveva capito che la nostra società ha una cultura basata su modelli e icone che rappresentano la base della comunicazione contemporanea.

La “società dell’apparire” funziona con linguaggi ben codificati, grammatiche, sintassi fatte di immagini e regole. 

E, anche grazie a strumenti come Instagram e Pinterest, e i social in generale, oggi il livello medio della cultura dell’immagine è molto alto. Il pubblico (qualsiasi pubblico: B2C ma anche e soprattutto B2B) pretende una cura dell’immagine, un linguaggio visivo, un simbolismo curato, potente, riconoscibile.

Anche per questo c’è sempre da lavorare sulla propria immagine: perché i tempi stanno riducendo l’evoluzione della cultura visiva di noi tutti e bisogna sempre essere aggiornati per non ritrovarsi ad essere visti come dei dinosauri fuori moda.

Tornando all’affermazione iniziale, quindi, è importante che le PMI e tutte le aziende inizino un percorso di riposizionamento del ruolo dell’immagine nelle loro strategie aziendali. Oggi trascurare l’immagine, non affidarsi a una guida professionale capace di elaborare un progetto strategico è un sicuro autogol.

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