Paolo Molinaro
CEO di Aipem
Covid-19: etica e comunicazione ci salveranno.
Non sembri paradossale parlare di etica e comunicazione in piena crisi Covid-19. Ma i momenti di difficoltà sono il tempo migliore per riflettere su valori e comportamenti che potranno esserci di sostegno per uscire dalla crisi.
Parlando da imprenditore e da tecnico, ogni giorno che passa in questa crisi Covid-19, sono sempre più convinto che ci sia stato fino ad ora un deficit di comunicazione, e che la ripresa si giochi proprio sulle modalità e sull’efficacia di quanto sapremo comunicare in futuro.
Mi astengo da qualsiasi giudizio su come la politica ha comunicato in questi momenti, magari lo approfondiremo in un’altra occasione.
Invece mi rivolgo direttamente alle imprese che devono farsi carico di rivedere il proprio modo di presentarsi e di proporsi se vorranno affrontare un mondo che l’epidemia ha completamente trasformato.
Fino a ieri, nonostante le conclamate evoluzioni di una comunicazione oramai profondamente dipendente dal digitale, le nostre imprese erano rimaste ancorate a pregiudizi che ora rischiano di diventare problemi veri. E il principale pregiudizio era “la comunicazione non serve”. Anzi, quelli investiti in promozione sono sempre stati visti un po’ come soldi sprecati.
In particolare, qui in Friuli questo “no covente” era particolarmente radicato. Sarà per l’atavica propensione al silenzio e all’introspezione che sempre ha contaminato il nostro modo di fare impresa e, in particolare, il modo di promuoverci.
“Salt, onest e lavoradôr” dice dei friulani il proverbio: a questo proposito verrebbe da aggiungere anche “cidins” per la proverbiale difficoltà a valorizzare il proprio operato. L’equazione che ne deriva è questa: chi tace e lavora è etico, chi si promuove, si fa pubblicità, invece no.
Su questo retaggio culturale si è innestato un ritardo tecnico ancora più preoccupante che interessa la digitalizzazione della comunicazione in particolare delle PMI. Nel 2019 solo il 12% delle aziende del Friuli Venezia Giulia aveva effettuato vendite on line e il fatturato relativo a queste vendite era l’11,5% del totale.
Il Covid-19 in questo senso ci ha fatto fare un salto di cinque anni in poche settimane: tutti hanno capito che la comunicazione è fondamentale per far capire che, nella crisi, le attività potevano continuare. Si poteva comunicare, proporre, vendere. C’è chi ha fatto salti mortali ma si è inventato consegne a domicilio, e-commerce semplici ma efficaci, newsletter, ecc. veicolando il tutto attraverso il web. Così ha trovato il suo pubblico, la sua clientela.
Il virus ha fatto venire alla luce la realtà: al fare impresa serve la strategia del marketing e la creatività della comunicazione. Ed è necessario che questa coppia inscindibile sia sorretta da indiscutibile professionalità, geniale creatività, e da un mandato etico al quale chi comunica non può sottrarsi.
Etica, marketing e comunicazione: questa è la formula alla quale possiamo affidare il sostegno della futura imminente ripresa.
È vero infatti che in queste settimane l’eccesso di informazione alla quale siamo stati sottoposti a causa del forzato isolamento ha messo le aziende davanti all’evidenza che servono strumenti efficaci per imporsi: per arrivare alla gente, per valorizzare il proprio marchio, il proprio servizio o prodotto, bisogna utilizzare tutti gli strumenti che il digitale ci mette a disposizione.
Ma in particolare serve (altro che se serve!) una strategia accurata di marketing a sostegno di una comunicazione etica e trasparente, rispettosa della relazione fra chi emette e chi riceve il messaggio, realizzata con i crismi della tecnica e sostenuta dagli algoritmi intelligenti.
Per la nostra economia l’epidemia e la conseguente chiusura delle attività sono state quello che il terremoto era stato per la società degli anni Settanta. Allora la ricostruzione ci portò, nel bene e nel male, da un mondo arcaico alla società evoluta dell’industria e degli scambi internazionali.
Oggi il Covid-19 ci può far fare un altro salto culturale portandoci tutti dentro il mondo digitale, dove valgono regole, approcci, linguaggi che oggi già frequentiamo ma inconsapevolmente.
In questo l’etica ci deve sostenere in quello che andremo a comunicare: perché parliamo di interesse comune, del comune obiettivo di salvare la nostra economia e il suo tessuto produttivo.
È una trasformazione alla quale tutti dobbiamo aderire perché l’alternativa è la marginalizzazione in una competizione economica che sarà sempre più giocata sul terreno internazionale e virtuale.
Come regione capace di concepire grandi eccellenze, industriali, artigianali, agroalimentari, turistiche, non possiamo permetterci di restare indietro e di restare esclusi. Non possiamo permetterci il lusso di non essere “moderni”, di farci percepire come “provinciali”. Dobbiamo riconquistare centralità: e questo è possibile solo attraverso un grande e condiviso progetto di marketing, con campagne di comunicazione istituzionali, aziendali e territoriali di qualità.
La rinascita deve iniziare dall’abbracciare la comunicazione come strumento di valorizzazione dei nostri prodotti, di un redivivo made in Friuli che può di nuovo essere marchio di qualità per tutto ciò che qui nasce e che da qui si propone al mondo intero.
In questa società distratta bisogna adottare le armi più evolute per comunicare quello che siamo e sappiamo fare. Dobbiamo finalmente arrenderci all’orgoglio di essere bravi e di valorizzare quello che siamo. Solo così la ricostruzione post Covid-19 raggiungerà il 100% come quella del sisma ’76. Per farlo dobbiamo comunicare al mondo che noi ci siamo, vogliamo esserci, e siamo eccellenza.
Senza imparare a comunicare, senza farlo come si deve e senza farlo tutti, il nostro futuro si presenta arido come questa primavera di isolamento e siccità.
Contributo pubblicato da Messaggero Veneto, 30 aprile 2020, pag. 11, con il titolo “Il marketing che servirà alle nostre imprese”.
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